Sapere che cosa mangiare
è essenziale
se vogliamo salvaguardare
il nostro stato di salute …
si può vivere più a lungo
ma soprattutto meglio ...

 

 

 

 

di Alberto Dall'Abaco

 

Teatro: gioco, improvvisazione
e libertà di esprimersi

 

Recitare. In Italia quando parliamo o pensiamo al teatro usiamo questo termine: recitare. Giusto, per carità, ma non rende ciò che il teatro è. In altre lingue, mi vengono in mente inglese, francese, tedesco e sicuramente molte altre, sono di uso comune altre parole che richiamano o vogliono esse stesse dire ‘giocare’.
Molti approcci per l’infanzia usano i giochi teatrali, alcuni corsi di marketing o public speaking usano i role-play (letteralmente ‘giochi di ruolo’) come parte saliente delle loro metodologie.
Insomma tutti usano il teatro, a volte è un po’ sperperato a mo’ di prezzemolo, tutti recitano. Ma pochi giocano.
Forse perché nella nostra lingua ci portiamo dietro questo termine ‘recitare’ (che ripeto non ha nulla di negativo) che in sé ha un carattere di formalità, quasi un vocabolo istituzionale.
Certo, non esiste un teatro, semmai molti modi di fare teatro, e tra questi modi di fare teatro c’è anche il recitare.
Io stesso uso ‘recitare’, quando non posso farne a meno, quando mi serve, diciamo, una parola condivisibile, ma già nell’usarlo sento che non è quello che vorrei dire, che non esprime l’essenza, che non mi basta, che non è esaustivo.
Vorrei usare giocare, ma subito verrebbe associato a qualcosa di ludico, divertente, che ci riporta all’infanzia, alla spensieratezza, alla libertà e che poco ha a che fare con palcoscenici, sedie di velluto, sipari pesanti, luci di scena, polverosi camerini, abiti da sera, mazzi di fiori alla prima attrice.
E tutto questo perché il teatro, in se stesso, è un grande gioco.
E come tutti i giochi va fatto seriamente, non seriosamente.


Ho avuto molti insegnanti e molti metodi. Quelli che più mi hanno attratto e mi hanno fatto crescere, soprattutto umanamente, sono quelli che mi hanno fatto fare esperienza delle mie possibilità e abilità con divertimento, gioco, sfida.
E io a loro mi sono ispirato.
Ho iniziato a insegnare (altro termine difficile; per la cronaca preferisco compagno di giochi), a condurre corsi di teatro per caso e mi ci sono sempre di più appassionato.
Credo molto nelle capacità delle persone e nella possibilità di scoprire qualcosa di nuovo su e di noi stessi.
Credo molto nel trittico: presenza movimento, voce.
Quando penso a un percorso teatrale lo penso in questo modo.
Innanzitutto c’è l’esperienza della propria espressività, in maniera libera, creativa.
Poi si può cominciare a prendere coscienza della presenza, della voce e sapere che si recita sempre per qualcuno, anche fossimo solo noi stessi allo specchio.
Infine si arriva alla recitazione come la pensiamo generalmente ma con questo percorso le capacità espressive, la consapevolezza della nostra presenza e della nostra voce si fanno più forti.
Poi ci sarebbe la faccenda del verosimile, della verosimiglianza, ma allora dovremmo scomodare anche i maestri Stanislavskij, Strasberg e molti altri. Ma questa, come dicono le favole, è un’altra storia.
In (dulcis) conclusione vorrei ricordare, citando Kean letto da Gassman, che “non si recita per guadagnarsi il pane...si recita perché si diventerebbe pazzi non recitando”.
Pazzi o meno , attori o saltimbanchi che sia il teatro non è solo un’arte. E per capirlo non basta andarlo a guardare. Come era scritto su una maglietta che avevo dato a dei miei allievi anni fa...
“perché noi il teatro non lo guardiamo.
Lo facciamo!”

Passione, curiosità o gioco che sia il teatro: facciamolo!